La famiglia è stata sempre al centro dell’interesse della psicoanalisi. Lacan pone già all’inizio del suo insegnamento la specificità della famiglia nella specie umana rispetto ai vari raggruppamenti sociali di altre specie animali:“la famiglia umana va compresa all’interno dell’ordine generale di realtà costituito dalle relazioni sociali” [1]. Essa è inserita in un contesto culturale ed è regolata dai legami sociali ed è proprio questa regolazione che fa della famiglia un’istituzione, la prima istituzione che il soggetto incontra venendo al mondo. Lacan utilizza il concetto di complesso distinguendolo dall’istinto in quanto [2] esso risponde a fattori culturali e ciò vuol dire che può variare a seconda della cultura in cui esso prende forma.
Nella nostra epoca assistiamo all’alleanza del discorso della scienza con il discorso del capitalismo e ciò ha delle conseguenze importanti sui legami sociali e sulla famiglia. Non si può più parlare di famiglia, ma di famiglie e questa pluralità di forme ha comportato l’insorgenza di nuove problematiche.
Quali sono le coordinate entro cui muoversi all’interno di questa pluralità di versioni della famiglia alle quali siamo sempre più confrontati come clinici nella contemporaneità?
Lacan sottolinea che la famiglia è deputata a trasmettere la costituzione soggettiva, “in quanto implica la relazione con un desiderio che non sia anonimo” [3]. Le cure particolareggiate della madre consentono il riconoscimento del bambino nella sua singolarità, per quell’essere particolare che egli è. Per quanto riguarda il padre, egli come rappresentante della legge non solo mette un limite al godimento tra madre e bambino, ma è anche colui che fornisce la testimonianza di come la legge possa iscriversi nel desiderio [4].
Se da un punto di vista fenomenologico la famiglia può assumere innumerevoli forme, Lacan ci ricorda di rimanere ancorati a riferimenti simbolici verificando l’operatività della funzione materna e della funzione paterna in quella particolare struttura familiare. In una coppia omosessuale la funzione materna può essere incarnata da uno dei due partner e la funzione paterna dall’altro. In una famiglia monoparentale il fatto che sia presente solo la madre non vuol dire che la funzione paterna non sia operativa, essa può essere incarnata da altre persone, lo zio, il nonno o la serie di padri che il bambino potrà incontrare lungo il percorso della sua crescita. Ciò che conta è che la madre, con i suoi detti, istituisca, sostenga il Nome del Padre in quanto funzione della legge. Per questo Lacan in seguito nel suo insegnamento affermerà “del Nome del Padre si può fare a meno. […] a condizione di servirsene” [5].
Lacan ci ricorda che il sintomo del bambino è portatore di una verità che è da interrogare all’interno del sistema simbolico familiare. Il sintomo del bambino può essere “nella posizione di rispondere a quanto c’è di sintomatico nella struttura familiare” e quindi “può rappresentare la verità della coppia familiare” oppure il sintomo attiene alla soggettività della madre. In questo caso “il bambino è interessato direttamente come correlativo di un fantasma” [6].
La clinica psicoanalitica ci insegna a reperire la causalità inconscia che opera nella formazione dei sintomi di un soggetto. Diversamente da altri approcci psicoterapeutici che oggi più che mai riducono il sintomo del bambino ad un deficit, restituendo alla famiglia una etichetta diagnostica che non dice nulla della verità e particolarità di quel bambino, la psicoanalisi ci insegna ad accogliere la sua difficoltà e offrire un luogo di parola in cui il bambino e i familiari possano trovare delle soluzioni inedite alla loro sofferenza.
[1] J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo (1938), in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 27.
[2] Ivi, p.10.
[3] J. Lacan, Nota sul bambino (1969), in Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 367.
[4] Ibidem.
[5] J. Lacan, Il Seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo (1975-1976), Astrolabio, Roma 2006, p. 133.
[6] J. Lacan, Nota sul bambino, in Altri Scritti, cit., p. 367.