Si può, ancora, parlare della famiglia come istituzione, oggi?
Pongo questa provocazione a partire da due affermazioni di Jacques Lacan e dal dire di alcuni adolescenti, depositato in uno sportello d’ascolto psicologico.
«[…] le istanze culturali dominano le istanze naturali […].» [1]
Troviamo questa affermazione nell’Introduzione a I complessi familiari, dove Lacan, abborda il tema dell’istituzione familiare, operando una disgiunzione tra l’istintuale e il culturale; distinguendo, cioè, « tra la famiglia umana come istituzione e la famiglia come fatto biologico» [2]. Ciò che per Lacan, in quegli anni, specifica la famiglia umana – permettendo di indicarla come un’istituzione – è la cultura che, qualche anno dopo, confluirà nel concetto di ordine simbolico.
Dunque, oggi che, non solo, è evidente che l’ordine simbolico non prevale sul reale ma, al contrario, vediamo diffondersi – nel discorso dominante – un imperativo di godimento irrefrenabile, quali sono gli effetti che questo rovesciamento ha sull’istituzione familiare?
E da qui, passiamo alla seconda affermazione:
«Ogni formazione umana ha per essenza […] di porre un freno al godimento.»[3]
Lacan, nel ’67, a conclusione delle giornate sulle psicosi del bambino, «ricorda che la famiglia umana è un’istituzione e scrive la funzione dell’istituzione.» [4]
La famiglia, in quanto istituzione, dunque, avrebbe la funzione di limitare il godimento. Del resto, il termine istituzione deriva da istituire, che vuol dire, fra l’altro, stabilire un ordine, regolare. Se per “Istituzione” intendiamo una formazione umana, disciplinata da regole e da valori, costituita per perseguire una determinata funzione, allora, la domanda che ponevo all’inizio s’impone.
E arriviamo, così, a ciò che è emerso dal lavoro che ho svolto nello sportello d’ascolto di alcune scuole medie, dove diversi adolescenti si sono rivolti, spinti dal disagio che vivevano in famiglia.
Ebbene, l’Altro – materno e/o paterno – che è emerso dal loro discorso non è l’Altro che impone loro un limite e nemmeno un Altro barrato, mancante, ma è un Altro senza limiti. Ed è questo incontro a causare degli effetti sintomatici, singolari, per ciascuno di loro.
Lacan ha, sempre, messo in valore la funzione del complesso di castrazione, vale a dire l’importanza svolta dalla funzione del limite ad un godimento in eccesso. Senza quel limite non c’è possibilità di accesso al desiderio. È l’Altro – solitamente l’Altro che svolge la funzione paterna – che trasmette la castrazione al figlio, ma è necessario che la trasmetta dal posto di castrato. Questo vuol dire che, lui per primo, deve essere limitato nel suo godimento. Ed è questo il problema, oggi. Non solo l’Altro familiare, ma anche l’Altro che rappresenta simbolicamente la società, la politica, non ha più alcun limite, alcuna regola. È ciò che l’attualità della realtà politica ci sta mostrando, drammaticamente, in questi giorni.
Il lavoro svolto con questi adolescenti, però, mi permette di fare un passo in più.
Dal discorso di alcuni di loro è emersa una stretta correlazione tra quest’Altro familiare, fuori limite e la degradazione della parola, del simbolico. Potremmo sintetizzarla così: l’Altro fuori limite fa sparire l’Altro come luogo del linguaggio; o detto in altro modo: il godimento mette fuori gioco il luogo della parola.
«Mia mamma non mi parla. Urla, solamente.» E ancora: «mio padre fraintende le mie parole, scambiandole per insulti. Se ne va dicendo che non torna più.»
È un cambiamento d’epoca che ci prospettano questi ragazzi che non può non interrogarci.
[1] J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo, Einaudi, Torino 2005, p. 23.
[2] E. Solano, Il bambino e le famiglie, Panozzo Editore, Rimini 2010, p. 58.
[3] J. Lacan, Allocuzione sulle psicosi infantili [1967], in Altri Scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 359-360.
[4] E. Solano, Il bambino e le famiglie, op. cit. p. 58.